Il viaggio rappresentano una delle cose che hanno maggiore impatto sulla nostra vita. Viaggiando visitiamo luoghi nuovi, conosciamo persone, nella nostra mente si creano ricordi che ci accompagneranno per tutta la vita. Qualunque sia la meta o lo scopo del nostro viaggiare, che sia per lavoro o per semplice piacere, spostarci da un posto all’altro ci aiuta a cambiare prospettiva sul mondo: dai viaggi si torna sempre cambiati.

E il viaggiare è quanto di più vicino ci sia alla lettura. Leggere un libro è come intraprendere un viaggio, non sappiamo esattamente cosa ci aspetta, possiamo immaginarlo magari ascoltando le esperienze che hanno fatto altri prima di noi, ma alla fine del viaggio, così come alla fine di un libro, subiamo il cambiamento che l’esperienza ci pone.

Le due esperienze sono talmente simili da fondersi, e trovare contatto in quel luogo-non luogo che è spesso il mezzo di locomozione utilizzato per viaggiare. Trascorrere le ore di viaggio in treno, in nave o in aereo in compagnia di un buon libro ci mette nell’invidiabile condizione di fare un viaggio dentro un’altro viaggio. Capita spesso infatti che i libri che leggiamo durante i viaggi siano i libri che poi rimangono impressi nella nostra mente strettamente collegati ai posti che abbiamo visitato.

Ci sono libri più adatti di altri ad essere letti durante un viaggio? Si e no. Non per forza almeno. Sicuramente non deve essere necessariamente un libro che tratti il tema dei viaggi, a meno che non vogliamo prepararci al viaggio leggendo una guida turistica del luogo dove stiamo andando, ma quella non la definirei una lettura nel senso in cui la intendiamo in questo caso. Ovviamente un libro da portare in viaggio con sè deve essere preferibilmente non molto lungo (di conseguenza non molto grande), così da riuscire a finirlo ma soprattutto per non fargli prendere troppo spazio in valigia! E’ chiaro che il problema delle dimensioni non si pone se siamo i fortunati possessori di un e-reader. E specifio e-reader, non cellulare, perchè leggere dalle ridotte dimensioni dello schermo di un cellulare renderebbe l’esperienza della lettura oltremodo dannosa sia per la vista, che in termini di oltraggio al libro stesso.

Di seguito elenco una serie di libri che, anche per esperienza personale, li trovo particolarmente indicati al ruolo di compagni di viaggio.

10 – Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

Roy Lewis | 1992 | 178 pagine

10 – Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

«Il libro che avete fra le mani è uno dei più divertenti degli ultimi cinquecentomila anni» ha scritto Terry Pratchett. È vero, tanto tempo è passato, da quando vissero Ernest, il narratore di questo libro, con la sua ingegnosa famiglia, dal padre Edward, che fu senza dubbio «il più grande uomo scimmia del Pleistocene», a quell’amabile reazionario di zio Vania, che tornava sempre a vivere sugli alberi, a quel viaggiatore incallito dello zio Ian, per non parlare delle ragazze. Un curioso gruppetto, che si trovò, sotto la guida del grande Edward, nella delicata situazione di chi dà all’evoluzione una spinta che non si riequilibrerà mai: la spinta da cui siamo nati tutti noi. Ragionando con impeccabile acume scientifico, nonché un delizioso humour freddo, Edward e i suoi scoprirono «alcune delle cose più potenti e spaventose su cui la razza umana abbia mai messo le mani: il fuoco, la lancia, il matrimonio e così via», sempre sulla base di una elementare esigenza: quella di «cucinare senza essere cucinati e mangiare senza essere mangiati». E naturalmente non mancarono le dispute e i crucci, perché ogni volta si poteva discutere se quelle nuove invenzioni erano davvero buone o cattive, se non rischiavano di sfuggire al controllo e soprattutto se non andavano un po’ troppo contro la natura. Mah…
Pubblicato per la prima volta nel 1960, e poi ripreso più volte sotto vari titoli, questo libro si è fatto strada silenziosamente fra i classici della fantascienza a ritroso. Ma in realtà è un libro inclassificabile: una riflessione romanzesca, acutissima e leggera, su tutta la storia dell’umanità, contrassegnata in ogni dettaglio da quella limpidezza e da quell’ironia che appartengono alla migliore tradizione letteraria e scientifica inglese. Quando Théodore Monod lesse questo libro, segnalò all’autore uno o due errori tecnici, subito aggiungendo «che non importavano un accidente, perché la lettura del libro l’aveva fatto ridere tanto che era caduto da un cammello nel bel mezzo del Sahara».

Quando i venti soffiavano forte da nord, spifferando gelidi che la grande cappa di ghiaccio continuava la sua avanzata, noi ammucchiavamo tutte le nostre riserve di legna e fascine davanti alla caverna e facevamo un gran fuoco, convinti che per quanto a sud si fosse spinta stavolta, fino in Africa, addirittura, noi eravamo perfettamente in grado di affrontarla e vincerla.

Incipit del romanzo “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” di Roy Lewis

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9 – Latinoamericana I diari della motocicletta

Ernesto Che Guevara | 1992 | 240 pagine

9 – Latinoamericana I diari della motocicletta

Dicembre 1951. Due giovani studenti di medicina argentini, Ernesto Guevara de la Serna e Alberto Granado, partono in sella a una sgangherata motocicletta, pomposamente battezzata “Poderosa”, per attraversare l’America Latina. Li aspettano sette mesi di avventure e incontri destinati a forgiarli per sempre. Toccheranno mille luoghi, dalle rovine di Machu Picchu al lebbrosario di San Pablo. Durante il viaggio Ernesto raccoglie appunti e, una volta rientrato, li riordina in un diario che è ormai un mito, l’opera più celebre del Che, un libro di culto letto e amato da almeno tre generazioni.

Queste pagine rivelano lo sguardo fresco ma già critico e intelligente che sarà del “comandante Che Guevara”; contengono i mille volti dell’America, la miseria degli Indios e la folgorante bellezza del paesaggio; raccontano il desiderio di conoscere, esplorare, capire, emozionarsi come solo a vent’anni si può, mentre la moto perde pezzi per strada e due ragazzi diventano uomini.

Per me il mare è sempre stato un confidente, un amico che assimila tutto quel che gli viene raccontato senza mai rivelare il segreto confidato e che dà i migliori consigli: un rumore il cui significato ciascuno interpreta come crede.

Citazione dal libro “Latinoamericana. I diari della motocicletta” di Ernesto Che Guevara

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8 – Una cosa divertente che non farò mai più

David Foster Wallace | 2017| 151 pagine

8 – Una cosa divertente che non farò mai più

«E allora oggi è sabato 18 marzo e sono seduto nel bar strapieno di gente dell’aeroporto di Fort Lauderdale, e dal momento in cui sono sceso dalla nave da crociera al momento in cui salirò sull’aereo per Chicago devono passare quattro ore che sto cercando di ammazzare facendo il punto su quella specie di puzzle ipnotico-sensoriale di tutte le cose che ho visto, sentito e fatto per il reportage che mi hanno commissionato».
Una cosa divertente che non farò mai più è il capolavoro di comicità e virtuosismo stilistico con cui i lettori italiani hanno conosciuto il genio letterario di Wallace. Commissionatogli dalla prestigiosa rivista Harper’s, questo reportage narrativo da una crociera extralusso ai Caraibi – iniziato sulla stessa nave che lo ospitava e cresciuto a dismisura dopo innumerevoli revisioni – è ormai diventato un classico dell’umorismo postmoderno e al tempo stesso una satira spietata sull’opulenza e il divertimento di massa della società americana contemporanea. 

Ho sentito cittadini americani maggiorenni e benestanti che chiedevano all’Ufficio Relazioni con gli Ospiti se per fare snorkeling c’è bisogno di bagnarsi, se il tiro al piattello si fa all’aperto, se l’equipaggio dorme a bordo e a che ora è previsto il Buffet di Mezzanotte.

Citazione dal libro “Una cosa divertente che non farò mai più” di David Foster Wallace

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7 – Sostiene Pereira

Antonio Tabucchi | 1994 | 240 pagine

7 – Sostiene Pereira

Lisbona 1938. L’opprimente dittatura di Salazar, l’infuriare della guerra civile spagnola alle porte, il fascismo italiano sullo sfondo. Pereira è un ex giornalista di cronaca nera cui è stata affidata la pagina culturale di un mediocre giornale del pomeriggio, il “Lisboa”. Pereira ha un senso mortuario della cultura: predilige gli elogi funebri degli scrittori scomparsi, la letteratura del passato, i necrologi anticipati. Trova in Monteiro Rossi, un giovane di origine italiana, e nella sua fidanzata Marta, due bizzarri quanto improbabili collaboratori.
Una collaborazione che porterà a uno sconvolgimento nella vita del vecchio giornalista, a una intensa maturazione interiore e infine a una dolorosa presa di coscienza.
Con queste pagine dal tono civile e insieme umanissimo, con questa struggente figura di protagonista che resterà indelebile nella memoria del lettore, Tabucchi ci ha dato un grande romanzo sulle ragioni del nostro passato prossimo che possono perfettamente essere le ragioni del nostro incerto presente.

Stai bene a sentire, Pereira, disse Silva, tu credi ancora nell’opinione pubblica?, ebbene, l’opinione pubblica è un trucco che hanno inventato gli anglosassoni, gli inglesi e gli americani, sono loro che ci stanno smerdando, scusa la parola, con questa idea dell’opinione pubblica, noi non abbiamo mai avuto il loro sistema politico, non abbiamo le loro tradizioni, non sappiamo cosa sono le trade unions, noi siamo gente del Sud, Pereira, e ubbidiamo a chi grida di più, a chi comanda.

Citazione dal libro “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi

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6 – Tre uomini in barca (per non parlar del cane)

Jerome K. Jerome| 1889 | 208 pagine

6 – Tre uomini in barca

J., Harris e George compongono un terzetto alquanto balzano. J. ha la fissa della malattia: le ha passate tutte (gli manca solo il ginocchio della lavandaia). Harris – a suo dire – fa tutto lui, ma tiene sempre in scacco gli altri con ordini e contrordini. George non farebbe che dormire, ma la pigrizia è un vizio che non lo riguarda. Ai tre amici si accompagna un cane, e anche lui ci mette la sua: Montmorency è un feroce fox-terrier certo di essere troppo buono per questo mondo. Tutti assieme fanno un viaggio in barca lungo le rive del Tamigi. Ne nasce una storia esilarante, costellata di piccole sventure e comiche avventure, con curiosi aneddoti di costume e ricordi di esperienze buffe, in una serie di gag sulle gioie e i dolori della vita sul fiume. Tre uomini in barca, che negli anni ha conosciuto un successo di pubblico straordinario, è ormai unanimemente considerato un classico della comicità anglosassone, fatta di humour e nonsense, che all’ironica paradossalità delle vicende narrate sa unire realistiche descrizioni delle campagne inglesi e brevi notazioni di filosofia spicciola.

Noi siamo gl’infelici schiavi del nostro stomaco

Citazione dal libro “Tre uomini in barca” di J.K. Jerome

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5 – Il giovane Holden

J.D. Salinger | 1951 | 234 pagine

5 – Il giovane Holden

Sono passati più di sessant’anni da quando è stato scritto, ma continuiamo a vederlo, Holden Caufield, con quell’aria scocciata, insofferente alle ipocrisie e al conformismo, lui e tutto quello che gli è cascato addosso dal giorno in cui lasciò l’Istituto Pencey con una bocciatura in tasca e nessuna voglia di farlo sapere ai suoi. La trama è tutta qui, narrata da quella voce spiccia e senza fronzoli. Ma sono i suoi pensieri, il suo umore rabbioso, ad andare in scena. Perché è arrabbiato Holden? Poiché non lo si sa con precisione, ciascuno vi ha letto la propria rabbia, ha assunto il protagonista a “exemplum vitae”, e ciò ne ha decretato l’immenso successo che dura tuttora. Torna, in una nuova traduzione di Matteo Colombo, il libro che ha sconvolto il corso della letteratura contemporanea influenzando l’immaginario collettivo e stilistico del Novecento.

Spero con tutta l’anima che quando morirò qualcuno avrà tanto buonsenso da scaraventarmi nel fiume o qualcosa del genere. Qualunque cosa, piuttosto che ficcarmi in un dannato cimitero. La gente che la domenica viene a mettervi un mazzo di fiori sulla pancia e tutte quelle cretinate. Chi li vuole i fiori, quando sei morto? Nessuno.

Citazione dal libro “Il giovane Holden” di J.D. Salinger

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4 – Le città invisibili

Italo Calvino | 1972 | 228 pagine

4 – Le città invisibili

«Le città invisibili si presenta come una serie di relazioni di viaggio che Marco Polo fa a Kublai Kan imperatore dei Tartari.

A questo imperatore melanconico, che ha capito che il suo sterminato potere conta ben poco perché tanto il mondo sta andando in rovina, un viaggiatore visionario racconta di città impossibili …

Quello che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici.»

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà;
se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Citazione dal libro “Le città invisibili” di Italo Calvino

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3 – Il vagabondo delle stelle

Jack London | 1915 | 400 pagine

3 – Il vagabondo delle stelle

Come Martin Eden, questo romanzo troverà sempre appassionati – per i quali resterà il libro del cuore. Solo un «realista selvaggio» come Jack London poteva gettarsi in una vicenda così temeraria, che a partire da uno scenario che ricorda Forza bruta ci fa veleggiare nel cosmo e nelle epoche con stupefacente naturalezza. All’inizio siamo infatti nel braccio degli assassini di San Quentin, in California, dove il protagonista viene regolarmente sottoposto alla tortura della camicia di forza. Ma in quella condizione disperata, con feroce autodisciplina, riuscirà a trasformarsi in un moderno sciamano che attraversa le barriere del tempo come muri di carta.
Amato da lettori fra loro distanti come Leslie Fiedler e Isaac Asimov, Il vagabondo delle stelle, ultimo romanzo di Jack London, è anche il suo libro più originale, estremo – che si colloca in una regione di confine del firmamento letterario, fra Stephen King e Carlos Castaneda.

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No, non ho alcun rispetto per la pena di morte. Si tratta di un’azione sporca, che non degrada solo i cani da forca pagati per compierla ma anche la comunitò sociale che la tollera, la sostiene col voto e paga tasse specifiche per farla mettere in atto.

Citazione dal libro “Il vagabondo delle stelle” di Jack London

2 – Lo Hobbit

J.R.R. Tolkien | 1937 | 342 pagine

2 – Lo Hobbit

Lo hobbit, che W.H. Auden ha definito «la più bella storia per bambini degli ultimi cinquan­t’anni», è il libro con cui Tolkien ha presentato per la prima volta, nel 1937, il foltissimo mondo mitologico del Signore degli Anelli, che ormai milioni di persone di ogni età, sparse ovunque, conoscono in tutti i suoi minuti particolari. Tra i protagonisti di tale mondo sono gli hobbit, minuscoli esseri «dolci come il miele e resistenti come le radici di alberi secolari», timidi, capaci di «sparire veloci e silenziosi al sopraggiungere di persone indesiderate», con un’arte che sembra magica ma è «unicamente dovuta a un’abi­lità professionale che l’eredità, la pratica e un’a­micizia molto intima con la terra hanno reso inimitabile da parte di razze più grandi e goffe» – quali gli uomini.

Non ci sono parole che possano descrivere la sua collera, il tipo di collera che si può vedere solo quando un ricco, che ha più di quanto non possa godere, perde improvvisamente qualcosa che ha posseduto a lungo ma che non ha mai usato o voluto prima.

Citazione dal libro “Lo Hobbit” di J.R.R. Tolkien

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1 – Il club dei mestieri stravaganti

Gilbert Keith Chesterton | 1905 | 200 pagine

1 – Il club dei mestieri stravaganti

Scritta nel 1905, lo scrittore, allora trentaduenne, era ancora incerto sul suo futuro artistico, diviso tra la carriera di illustratore e quella di scrittore, e molto lontano dai travagli interiori che lo avrebbero portato nel 1922 alla conversione al cattolicesimo.
Nelle sei storie che la compongono, Chesterton tentò per la prima volta la strada del «giallo filosofico», il genere letterario per cui ancora oggi è amato, come dimostra il successo senza tempo di Padre Brown.

Qui il protagonista è Basil Grant, un detective improbabile, un ex giudice sornione e vagamente mistico, allontanato dalla carica per manifesta follia e segregatosi felicemente in una soffitta che non abbandona quasi mai. Insieme a lui opera il fratello Rupert, il suo contraltare, una sorta di parodia di Sherlock Holmes e del suo famigerato metodo deduttivo.

Ogni storia ruota attorno a personaggi bizzarri, con mestieri altrettanto particolari. Persone che si sono inventate – letteralmente – un lavoro, ma attenzione: per far parte del club, questi mestieri stravaganti devono essere la sola fonte di guadagno, e bisogna essere gli unici a farli «professionalmente». 
E, più oltre, c’è Londra, descritta, a giudizio di molti critici, come poche altre volte nella storia della letteratura, un reticolo sordido di strette vie e angoli bui che lo scrittore amava profondamente.

Chesterton costruisce in queste pagine alcune delle storie meglio congegnate della sua intera produzione, nelle quali la riflessione filosofica si intreccia alla trama senza appesantirla e la freschezza dell’immaginazione si combina a una scrittura come sempre densa e stimolante.

Ben pochi sapevano qualcosa di Basil, non perché egli fosse minimamente restio, che chiunque fosse entrato nelle sue stanze egli l’avrebbe trattenuto a conversare anche tutta la notte. Pochi lo conoscevano perché, come tutti i poeti, egli poteva fare a meno di loro. Accoglieva le persone con lo stesso piacere con cui salutava un’inaspettata sfumatura del crepuscolo, ma non provava il bisogno di andare in società più di quanto provasse il bisogno di apportar modifiche alle nuvole del tramonto.

Citazione dal libro “Il club dei mestieri stravaganti” di Gilbert Keith Chesterton

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